sabato 10 dicembre 2016

UN'ISOLA NELL'ISOLA - SECONDA PUNTATA

Cari Amici,
sembra un fatto strano e surreale, ma ogni procidano parla dell'ex carcere di Terra Murata come di una risorsa perduta e non solo perché all'epoca era capace di creare un vero e proprio indotto in termini di affluenza di persone e di somministrazione di servizi. Secondo la logica dei tempi, compito del carcere era isolare il soggetto pericoloso dalla società civile e redimerlo per mezzo della fatica. Già sotto i Borbone, i Gesuiti pretesero che i carcerati fossero occupati in attività lavorative. Il detenuto non era in nessun caso uno da compatire. Essendo egli un traditore della società, ad essa doveva una sorta di risarcimento e neppure gli era concesso il lusso di diventare un peso. Nelle fabbriche all'interno del bagno penale si lavorava il famoso lino dei corredi delle fanciulle procidane, si rilegavano libri, si costruivano mobili, si aggiustavano scarpe e, nella piccola tenuta, si coltivava l'orto e si allevavano animali. I prodotti del carcere venivano venduti al mercato pubblico, due giorni a settimana, davanti al palazzo della Direzione, a eccezione del latte fresco, disponibile quotidianamente.
Isola di Procida
Nonostante le condizioni di lavoro fossero molto dure, essendo tutte le attività svolte con l'ausilio di attrezzature manuali, il carcere di Procida era molto popolare e ambito tra i carcerati poiché, nei limiti della loro condizione, vi svolgevano una vita regolare senza rimanere tutto il giorno rinchiusi dietro le sbarre. Una sirena scandiva la giornata: quella delle 8 segnalava l'inizio del lavoro, quella delle 11 la pausa pranzo e il riposo, quella delle 13 la ripresa delle attività e quella delle 15 il rientro in cella. Ogni detenuto aveva diritto a pasti frugali e solo per motivi di salute poteva richiedere il "sopravvitto", una razione di cibo aggiuntiva, prescritta dal medico, che solo in teoria era di miglior qualità rispetto al misuratissimo vitto. Episodi di disordine erano puniti dal Consiglio di Disciplina che si riuniva nella stanza del maresciallo e decideva la punizione da infliggere. Chi doveva tuttavia valutare la sopportabilità della pena e firmarla era il dottore: un compito ingrato che Retaggio non ha mai ben digerito.
Isola di Procida

Isola di ProcidaIsola di Procida
Se ancora oggi la permanenza in cella non è il massimo del comfort, al di là del mito dell'albergo a svariate stelle, possiamo a malapena immaginare cosa poteva essere una cella cinquanta e più anni fa. A Procida vi erano quelle comunitarie, in cui venivano stipati fino a quaranta detenuti e quelle "singole", a sistema cubicolare di 3X3 metri, per gli ospiti più imbizzarriti. Non avevano né riscaldamento né tantomeno servizi igienici. I bagni alla turca erano insufficienti per una popolazione che ha raggiunto il picco di ottocento persone e quindi ci si arrangiava con il "bugliuolo", un recipiente posto al centro della stanza che veniva svuotato ogni mattina dai detenuti fognaioli.
Isola di Procida
In un film di Nanni Loy del 1971, Detenuto in attesa di giudizio, Giuseppe Di Noi, interpretato da Alberto Sordi, ingiustamente accusato di omicidio, viene rinchiuso nel carcere dell'immaginaria Sagunto, nei pressi di Salerno. Le scene vennero girate proprio qui a Procida e mostrano gli ambienti originali. I detenuti indossavano una divisa di tela marrone in estate e una di lana a strisce beige e marrone d'inverno. Questi loro effetti personali sono ammucchiati, assieme alle matasse di lino, nei grandi stanzoni che furono la loro casa. 
Isola di ProcidaIsola di Procida
Isola di ProcidaIsola di Procida
C'è una zona di questo complesso, però, che è la più inquietante: la famigerata sezione IV. Al momento non è visitabile poiché necessita di una messa in sicurezza, ma i racconti del dottor Retaggio ci hanno fatto venire i brividi. Qui c'erano le celle di punizione, la cella imbottita e la cella con il letto di contenzione. Le prime misuravano 2X3 metri e non avevano finestra. Al detenuto che stava per entrarvi venivano tolti i lacci delle scarpe e la cinghia dei pantaloni per evitare che si impicasse. La guardia lo teneva d'occhio tramite lo spioncino della porta. La cella imbottita aveva il pavimento di legno e le pareti riempite di gommapiuma. Vi venivano costretti quelli che rischiavano di farsi del male. Se un detenuto era particolarmente agitato veniva denudato e legato braccia e gambe al letto di contenzione. Si trattava di un letto di ferro, dalle sponde alte, con un buco per i bisogni fisiologici. Questa pratica, deplorevole per la nostra mentalità, era allora accettata e risultava anche efficace.
Isola di Procida
Le storie dell'ex carcere borbonico sono tante, almeno quante furono le persone che vi arrivarono. Di qui passarono i gerarchi fascisti come Teruzzi, Iunio Valerio Borghese, Acerbo, Cassinelli e il generale Rodolfo Graziani. Quando quest'ultimo sbarcò a Procida, il 17 febbraio 1946, tutte le luci dell'isola vennero spente per paura di un attentato. Da quel giorno egli divenne il detenuto n° 220 e trascorse il suo tempo scrivendo il suo libro più famoso, Ho difeso la patria. Venne operato di appendicite acuta sul tavolo operatorio conservato sul piano nobile.
Isola di ProcidaIsola di Procida
E che dire di Frank Mannino, il "luogotenente" di Salvatore Giuliano? Era uno stagnino ma si era arruolato col sogno di proclamare l'indipendenza della Sicilia dall'Italia e la sua conseguente annessione agli USA. Condannato per la strage di Portella delle Ginestre (1 maggio 1947), nel 1952 aveva a suo attivo 302 anni di reclusione ancora tutti da scontare. Visse gli ultimi nove anni da carcerato a Procida dove da buon Testimone di Geova si dedicò allo studio della Bibbia. Impressionate da questa sua pia pratica, le autorità carcerarie chiesero per lui la grazia, ottenuta il 28 dicembre 1978.
Isola di ProcidaIsola di Procida
Qualunque cosa si possa pensare di questo luogo e del modo con cui veniva applicata la giustizia, non bisogna dimenticare che anche dentro quest'isola nell'isola non mancavano persone di grande umanità, tra cui la nostra guida sempre pronta a offrire sostegno psicologico, a volte più necessario dell'assistenza medica. 
Isola di Procida
Dall'alto del piano nobile un azzurro panorama incanta lo sguardo e solleva lo spirito. Uno spettacolo più stridente con la realtà del carcere non si potrebbe immaginarlo. Viene da pensare che, sebbene anche un'ex casa di reclusione abbia il suo fascino, sarebbe stato bello visitare un palazzo signorile. In tutta onestà, uno scempio più grande Ferdinando II non poteva tramandarcelo...

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